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Privatizzazione
dell'acqua |
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Speriamo che non succedano altri disordini.
Il movimento no global si sta mobilitando contro il prossimo
vertice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il
World Trade Organization. Quest’anno discuteranno anche
della questione dell’acqua. Sull’acqua hanno già
fatto un forum mondiale a Kyoto, e i no global hanno fatto un
controvertice a Firenze. Ma adesso, alla riunione del WTO dovranno
decidere. Decidere se privatizzare o no. Non mi sembra che siamo
messi bene, nel mondo, su questa questione. Ah, noi qui siamo
fortunati. Acqua ce n’è abbastanza, per mangiare
e lavarsi. Certo, beviamo l’acqua minerale. Mia madre
mi dice che quando erano piccoli loro bevevano l’acqua
del rubinetto. Comunque, averla, l’acqua del rubinetto.
Ho letto dei dati impressionanti. Le persone che ogni anno muoiono
per malattie legate alla carenza d’acqua sono cinque milioni,
nel mondo: già oggi mi sembra che più di un miliardo
di persone non abbiano accesso ad acqua potabile (e quindi bevono
schifezze e si ammalano), e le Nazioni Unite calcolano che entro
il 2025 saranno arrivate a 2 miliardi e mezzo o 3. Se il consumo
d’acqua continua ai ritmi attuali, s’intende. Se
nel 2050 arriveremo davvero a 9 miliardi, come dicono, stiamo
freschi!
Io non ci credevo: con tutta l’acqua che c’è
sulla Terra, dicevo? E invece ho letto che di acqua dolce non
ce n’è mica tanta. Il 97 per cento dell’acqua
del pianeta è salata, sono i mari e gli oceani; ma del
3 per cento rimanente, il 2, mi sembra, è congelato nelle
calotte polari, e ne rimane disponibile solo l’1 per cento,
o anche meno. E con quella bisogna bere, irrigare la terra coltivata
e far andare avanti l’industria. L’industria e l’agricoltura
ne consumano davvero tanta, di acqua. Soprattutto l’agricoltura.
E ne sprecano un sacco. Perché ne usano più di
quanta la natura ne reimmetta con le piogge.
Insomma, con tutta questa gente l’acqua
sta diventando un bene raro. E i beni rari si pagano. Il punto
di partenza sta tutto qui. Quanti soldi ci vogliono per il terzo
mondo? L’ho letto da qualche parte…
Ah, ecco. È uno studio della Banca Mondiale, la World
Bank: per fornire acqua sicura e pulita ai poveri del mondo
gli investimenti annuali dei paesi in via di sviluppo dovrebbero
passare dai 75 miliardi di dollari all’anno a 180 miliardi.
Più del doppio.
È per questo che i cervelloni
del WTO pensano che nella questione dell’acqua dovrebbero
intervenire le imprese private. Loro dicono che è l’unico
modo per tirare su i soldi necessari a risolvere i problemi
della carenza d’acqua per i poveri. Specialmente nel sud
del mondo, i governi sono sempre a corto di quattrini, e non
riescono a fornire servizi idrici efficienti ai propri cittadini.
Gli enti pubblici o gli organi governativi che gestiscono gli
acquedotti e i servizi, secondo questo modo di pensare, sono
organismi burocratici, poco dinamici, non aperti all’innovazione
che occorrerebbe per risolvere i problemi.
Le imprese private, invece, proprio perché investono
e si aspettano di ricavare un utile dai loro investimenti, sono
più sensibili alle questioni di efficienza. E non solo
nei paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli industriali.
Se i loro utili derivano dalle tariffe pagate dagli utenti,
esse saranno invogliate a fornire un servizio efficiente e funzionante,
altrimenti gli utenti non premieranno il loro servizio e si
rivolgeranno altrove.
Insomma, i sostenitori della privatizzazione pensano che l’ingresso
dei privati nelle forniture idriche e nei servizi fognari non
solo abbassi i costi (dal 15 al 45 per cento, dicono), ma favorisca
l’innovazione, ed elimini quello che loro ritengono un
conflitto di interessi. Se è il settore pubblico che
finanzia e gestisce i servizi idrici, dicono, è difficile
che poi possa intervenire se lo stesso sistema che lui gestisce
si rivela inefficiente.
Ma non tutti sono d’accordo su
questa impostazione del problema. I movimenti no global e antiliberisti
prima di tutto, ma anche molte ONG e molti studiosi. Chi è
contrario alla privatizzazione pensa che sia proprio sbagliato
alla radice trattare l’acqua come una merce. L’acqua,
loro dicono, è un diritto fondamentale dell’uomo,
e va garantita a tutti almeno in misura minima e accettabile
(come ha fatto recentemente il governo del Sudafrica, che ha
proclamato il diritto di tutti i cittadini ad avere almeno 25
litri al giorno di acqua pulita. In Usa quanta se ne consuma
a testa, l’avevo letto da qualche parte… Ah, sì,
ecco: 382 litri al giorno per persona!)
Quest’obiettivo non può essere garantito dai privati,
dicono loro. Poi non credono affatto a questo rapporto idilliaco
fra aziende private e consumatori. Di fatto le aziende vincono
l’appalto in una città promettendo abbassamenti
dei costi e miglioramenti dei servizi. Ma l’appalto lo
vince un’azienda sola, quindi non c’è concorrenza,
e appena vinto l’appalto quell’azienda cerca di
rinegoziare il contratto per alzare i prezzi e ridimensionare
i miglioramenti.
Di fatto questa ondata di privatizzazioni (che comunque copre
solo ancora fra il 2 e il 5 per cento dei servizi idrici nel
mondo) sta portando alla concentrazione della gestione delle
risorse idriche nelle mani di poche multinazionali, come Suez,
Vivendi e poche altre. E non è affatto vero, dicono i
no global, che la privatizzazione porta a prezzi più
bassi e servizi migliori. Citano il caso di Cochabamba, in Bolivia,
dove nel 2002 la privatizzazione ha portato a un rincaro dell’acqua
del 50 per cento, e la popolazione è insorta costringendo
il governo a tornare al sistema pubblico. Ma anche negli Stati
Uniti, per esempio ad Atlanta, Georgia, dove nel 2003 Suez ha
perso l’appalto già vinto perché non ha
migliorato, come aveva promesso, la qualità dell’acqua.
Per i contrari alla privatizzazione i problemi dei governi del
terzo mondo derivano principalmente dal peso del loro debito.
La Banca Mondiale, invece di destinare, come ha fatto nel 2002,
l’80% dei stanziamenti per le risorse idriche alla costruzione
di infrastrutture private, dovrebbe pensare a finanziare l’estensione
dell’accesso all’acqua per tutti e ad alleviare
il debito.
Eh,
non mi so decidere. Ognuno sembra avere buoni argomenti per
la sua tesi. Considerare l’acqua un bene commerciabile,
una merce, e affidarsi al mercato per assicurarla a tutti? O
vederla come un diritto universale, un bene pubblico, e costruire
una rete mondiale dei servizi pubblici esistenti?
Antonio Caronia.
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