Ecco qua. Un’altra denuncia delle
case discografiche contro la pirateria musicale. Pirateria,
poi… Anch’io sarei un pirata, allora. Ho scaricato
tanta di quella musica da Napster, quando c’era. E adesso
da Vitaminic, e dagli altri siti. I discografici dicono che
questo modo di diffondere la musica li danneggia, perché
fa calare le vendite dei CD. E che è illegale, perché
loro hanno sottoscritto dei contratti con gli autori, e li pagano
per il loro lavoro, quindi l’utente, comprando il CD,
in fondo sostiene l’autore, mica l’editore. Bah…
non so. Figuriamoci. L’editore non pubblicherebbe un disco,
o un libro, o una rivista, se non ci guadagnasse. Be’,
naturalmente credo che l’autore debba ricavare di che
vivere dal suo lavoro, questo non si discute. Il problema è:
vendere i CD è l’unico modo per sostenere l’autore?
Finché le cose vanno così, probabilmente sì.
Quindi un certo riconoscimento della proprietà intellettuale
è giusto. Se io sono un musicista, ho diritto di campare
con la musica che scrivo, e quindi chiunque la suona in pubblico,
e ci ricava dei soldi, mi deve qualcosa. Quindi: io autore ho
il diritto di sfruttare i prodotti del mio ingegno e ricavarne
un reddito. Poi, per comodità, cedo questo diritto a
un editore che pubblica le mie opere (libri, o dischi) e fa
in modo che queste vadano in giro – ché io da solo
con ce la farei - e l’editore in cambio mi dà una
cifra fissa o una percentuale sulle vendite.
Questo è il principio del copyright, e se le cose stanno
così mi sembra ci sia poco da discutere… Ci sono
delle leggi che regolamentano il diritto d’autore e mi
tutelano come titolare dei diritti su quell’opera. Però
Napster o Vitaminic in effetti non violano queste norme. Non
c’è qualcuno che si impadronisce di una musica
che non è la sua, me la vende, ci guadagna, e non dà
una lira all’autore. Questo è quello che succede
con le videocassette pirata, forse. Ma qui c’è
una comunità di persone che si scambiano delle cose che
hanno già… Anzi, vediamo se c’è qualcosa
di nuovo…. Ah, guarda, c’è questo pezzo di
Saint Germain che non ho, adesso me lo scarico. Mica lo prendo
dal sito della casa discografica. Lo prendo dal disco fisso
di qualcuno che è connesso, che ce l’ha e che io
neppure conosco. E mentre io mi scarico questo, c’è
qualcun altro che approfitta della connessione e viene a prendersi
dal mio disco fisso un altro pezzo che gli piace. È come
prestare un disco o un libro a un amico, e farsene prestare
un altro da lui. Solo che in questo caso sono amici un po’
strani, che non ho mai visto.
Anche la storia che con lo scambio su Internet si vendono meno
dischi… Non so se è vero. Ho letto delle notizie
contraddittorie. Io non ho mica smesso di comprare CD da quando
scarico musica da Internet. Anzi. Ma se anche fosse così.
Forse la colpa non è solo di Internet. È che i
discografici sono avidi, e i CD costano più di quanto
dovrebbero – o potrebbero – costare. E molta gente,
soprattutto i più giovani, non se li possono permettere.
E Internet non ha fatto altro che dare la possibilità
di ascoltare della musica anche a chi non si può permettere
di comprare i CD. Chissà, se abbassassero i prezzi…
E che cavolo gli ha preso, adesso, a
questo? Mi si è bloccato. Ora devo chiudere tutto e farlo
ripartire. E mi tocca ricominciare il download. Accidenti alla
Microsoft! L’avevo detto che volevo provare Linux, ma
non trovo mai il tempo di installarlo. Non è una cosa
semplicissima, ma Roberto, che s’intende di informatica,
mi ha detto che poi funziona da dio. Non si blocca mai, è
molto più affidabile. Eh, sfido io! Ci hanno messo le
mani in tanti, su quel sistema operativo, l’hanno testato
e ritestato. I difetti e i bachi si scoprono prima, in questo
modo. Linux: un sistema operativo gratuito, inventato da quel
finlandese, Linus Torvalds, quando era ancora studente, dieci
o dodici anni fa. Lui non ha tenuto segreto il codice del programma,
come succede con tutti i software commerciali: lo ha reso pubblico,
lo ha messo in rete, open source, lo chiamano così: in
questo modo hanno potuto lavorarci sopra tutti quelli che volevano,
centinaia, forse migliaia di programmatori. Hanno corretto i
difetti, migliorato le prestazioni, ampliato gli obiettivi,
scritto delle applicazioni. E adesso c’è una lotta
fra Linux e gli altri sistemi operativi commerciali, come Windows,
per vedere chi si diffonde di più. Nel campo del software
di rete, per i server, per il momento vince Linux. Sul resto,
la partita è aperta. Certo Linux è ancora indietro,
ma pare che rimonti posizioni.
Be’, questo è un sistema alternativo al copyright,
infatti lo hanno chiamato copyleft. È una licenza particolare,
l’ha inventata questo americano che ha creato la Free
Software Foundation, Richard Stallman, vari anni prima che Torvalds
cominciasse a scrivere Linux. Si chiama General Public License,
GPL, e dice che ognuno è libero di copiare, di modificare
e di diffondere il software che trova con quella licenza, purché
lasci immutata la licenza, e cioè permetta anche ad altri
di fare quello che ha fatto lui. L’ho letto su questo
libro, The Cathedral and the Bazaar di Eric Raymond. L’ho
scaricato dalla rete e me lo sono stampato.
Forse il caso del software è un po’ diverso da
quello della musica. Almeno in questo caso, mi pare che il copyleft
possa funzionare meglio del copyright. Certamente il copyleft
rispetta di più la circolazione delle idee, e favorisce
la cooperazione, mentre il copyright tende a renderla più
difficile. O meglio, subordina la cooperazione a una logica
di profitto. Come adesso, che negli Stati Uniti e in vari altri
paesi hanno aumentato la durata del copyright da 50 a 70 anni
dopo la morte dell’autore. Però è vero che
anche in questo caso bisogna risolvere il problema di come remunerare
l’autore. Va bene, niente proprietà intellettuale
perché le idee sono di tutti, e la conoscenza cresce
solo quando circola liberamente. Ma di cosa campano gli autori?
In fondo, anche Torvalds e Stallman si sono messi a lavorare
per delle aziende, o come dipendenti o come consulenti. E siccome
la versione libera di Linux, per essere installata, richiede
delle conoscenze che non tutti hanno, ormai ne cominciano a
circolare delle versioni facilitate, che sono a pagamento. D’accordo,
costano enormemente meno di Windows o del sistema operativo
del Macintosh, ma non sono gratis, anche se sono sempre sotto
licenza GPL. Quindi, un po’ di copyright forse c’è
anche qui.
Sono
tutti problemi che una volta non c’erano, perché
non c’è mai stata una tecnologia di trattamento
e di diffusione dell’informazione così potente
come il computer. La legislazione sul copyright è nata
quando la stampa ha cominciato ad avere una diffusione di massa,
quindi forse adesso sarebbe anche il caso di cambiarla. Ma in
che direzione? Tutelare di più la proprietà intellettuale
o la cooperazione? I diritti dell’autore o la diffusione
delle idee? Insomma: copyright o copyleft?
Antonio Caronia.
DemoKino - Virtual Biopolitical Parliament - Copyleft.